La notte d’Ognissanti.

 

Mio caro amico dall’animo virtuale e dal corpo fatto da codici di uno e zero. Oggi sono qui per un tuffo nei ricordi, quelli più carini, quelli che mi fanno sorridere, quelli che tuttora mi fanno sorridere, anche con un pizzico di nostalgia.

Caro Bloggi delle mie nonne posso dirti poche cose. La nonna Donata, la mamma della mia mamma, la ricordo poco, seriosa, non cattiva era amorevole e aggiungerei, tanto. Era fatta di quell’amore che distrugge l’esistenza, quell’amore gli è stato strappato in ogni sua forma; donna, madre e nonna.(cara Giorgia, mamma e moglie… Non hai il monopolio, solo un ricco repertorio di stronzate). La ricordo come una donna mite, invecchiata male a causa delle brutture della vita la quale l’hanno messa alla prova. Aveva un difetto estetico ad un occhio, non so se era congenito (tipo quando ti va qualcosa in un occhio, insomma socchiuso). Di lei ricordo le domeniche, poche ahimè per poter avere un ricordo limpido. Spaghetti con ragù alla bolognese e polpette. Ricordo la serenità di quegli attimi, la connessione tra le nostre anime, come se fossimo fatti della stessa materia, della stessa energia.

Ricordo che ogni tanto si estraniava, la vedevo fissare in direzione dei mobili della cucina. Una volta sola le chiesi <nonna cosa guardi> lei mi disse che vedeva e che parlava con la mamma. Io avevo all’incirca tre o quattro anni, la mamma non c’era più da un anno o poco più. Non la trovavo una cosa strana, anzi per me era di un romanticismo fiabesco, anzi no… Nettuniano. (Cribbio! cosa ne sa una piccola persona di tre o quattro anni del romanticismo).

Ma lo percepivo, e non veniva solo da lei… Ho sempre saputo che la mamma c’era, che c’è.

Ecco questo è quello che ricordo della mamma della mia mamma, una donna che amava in silenzio, e che ha rinunciato a tutto in silenzio.

Poi c’era la nonna paterna, la nonna Giuseppina, rossa di pelo e pelle bianca, incorniciata da schizzi di efelidi e una risata contagiosa. Lei aveva uno spirito fanciullesco, aveva sofferto anche lei, otto figli, un marito schiavo dei vizi e forse poco amorevole. Con nonna Giuseppina si rideva, quante risate ci siamo fatte, di lei ricordo tanto anche se lei non amava ricordare il suo passato, strano quante cose possono accomunare due persone, persino il dimenticare i brutti ricordi, o meglio lasciarli andare nell’oblio. Una cosa che ricordo di Nonna sono i racconti sulla notte di Ognissanti.

Sai Bloggi, siamo ignorantemente convinti che Halloween sia una ricorrenza angloamericana ma in realtà, la notte di Ognissanti, ha radici profonde in tutta Europa.

Nonna Giuseppina la notte tra 31 Ottobre e 1 Novembre, lasciava la tavola apparecchiata per una persona, come se dovesse rientrare qualcuno dal turno serale del’Italsider (la vecchia ILVA). Piatti contenendo del cibo all’interno e coperti accuratamente con altri piatti, bevande e bicchiere sul tavolo, quasi come un rito o un cerimoniale.

Mi spiegò che quella tradizione le era stata tramandata, e che, nella notte di Ognissanti, i cari che non c’erano più, tornavano a casa per ritrovare i propri familiari. Quel gesto era un plauso, una dimostrazione e un pensiero d’affetto.

Un po’ come il giorno dei morti per i messicani, che allestiscono altari pieni di fiori che adornano le foto dei loro defunti, per non dimenticare e permettere il passaggio dal mondo immateriale a quello materiale.

Caro Bloggi, non ho il tormento interiore, né la saggezza delle mie belle ma diversissime nonne, ma una cosa l’ho imparata.

Le tradizioni, pur bizzarre che possano apparire, hanno sempre un fondo di verità, di misticismo e di magia.

La notte, anzi la sera del 31 Ottobre io chiudo le finestre, accendo una candela, chiudo le porte energetiche e chiedo con garbo, di non essere disturbata, non che loro mi disturbino, sanno perfettamente che la mia paura per il non terreno è più forte della razionalità. Che poi, quando ti ritrovi proiettata sul piano dei non incarnati, di che razionalità voglio parlare?

Le mie nonne entrambe mi sono apparse nei sogni negli anni passati, con finalità diverse, una voleva risparmiarmi una vita greve, mentre l’altra mi ha aiutato a cercare casa, mi ha condotta a casa.

Non so se ci si possa cogliere un insegnamento da questo racconto, non ho questa presunzione. Le esperienze sono soggettive, diverse e personali, come le tradizioni familiari o come la lettura di un libro. Io credo (senza nessuna presunzione) che la notte di Ognissanti è il momento giusto per l’introspezione per raccogliersi all’interno del se, e celebrare la vita, la nostra e di ci ha preceduto e poi lasciato.

Bloggi ti lascio con una piccola ricerca fatta con Google: Tanti anni fa la notte del 1 Novembre, i bambini si recavano di casa in casa, come ad Halloween, per ricevere il “Ben dei morti”, ovvero fave, castagne e fichi secchi.

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Pubblicato da lastronzaomofoba

Diario Autobiografico, tra il ridicolo e il paradosso “LaStronzaOmofoba” racconta la sua vita. Tra attacchi di ira, sconforto e qualche bella notizia. L’utilizzo di questo Blog come se fosse un vero e proprio diario. Sperando di far sorridere, riflettere e emozionarvi. PS: Chiedo scusa per le parolacce, ma chi, in fin dei conti non scrive qualche parolaccia nel proprio diario?!

2 Risposte a “La notte d’Ognissanti.”

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