Sono le due del mattino e ho appena finito di leggere “La ragazza della neve” di Pam Jenoff, con le lacrime che mi solcano il viso. Poi decido di alzarmi mentre sto scrivendo questa disamina per dare da mangiare alla gatta, vista la sua insistente richiesta di cibo; nel farlo, mi accorgo che mi ha bagnato il letto per l’ennesima volta. Cerco di riimmergermi nello spirito della scrittrice (Dio, dammi un drago).
Il libro è magistralmente scritto. L’autrice, esperta di fiction storiche, grazie ai racconti e alle testimonianze, alle ricerche d’archivio accumulate in questi anni, riesce con estrema disinvoltura a rendere reale e credibile queste storie al femminile, toccando punte di orrore senza mai risultare splatter.
Il racconto si apre con una novantenne, simile a un personaggio di “Titanic”, che parte per la sua avventura, catapultandoci in quei terribili giorni in cui l’orrore del nazismo è ancora presente nel DNA dei discendenti di quel periodo. Il libro, come detto precedentemente, alterna i capitoli per raccontare la storia di due donne, entrambe segnate dalla guerra, con un circo realmente esistito che funge da collante e scenografia per tutta la narrazione, mettendo in luce punti di forza e debolezza delle protagoniste.
La guerra, si sa, imbruttisce gli animi creando divisioni e pregiudizi, un po’ come la politica fa oggi tra i meno fortunati.
Il circo e alcuni dei personaggi sono realmente esistiti; l’autrice ha solo cucito una storia per collegare eventi realmente accaduti. Il libro può sembrare lento, ma solo perché ho letto in precedenza “Le ragazze di Parigi”, che inizia con una valigia, delle foto e un mistero da risolvere. Man mano che la storia si sviluppa, i ricordi della mia infanzia negli anni Ottanta riaffiorano, in concomitanza con le descrizioni degli odori e del quotidiano degli abitanti del circo.
Posso dire, alla soglia dei miei quarantasette anni, che il racconto è assolutamente veritiero nei suoi dettagli, anche per un circo caduto in disgrazia in quel periodo così oscuro, in cui le diversità erano considerate aberrazioni che costringevano l’uomo alla selezione e all’omologazione. Dio, che orrore.
Naturalmente, come era d’uso in quei tempi, i circhi diventavano case di accoglienza per i diversi incontrati lungo il cammino, magari in cambio di esibizioni e nel mostrare le proprie singolarità. Non giudichiamo: erano altri tempi, necessari per sopravvivere alla strada.
Tutto accelera e diventa adrenalinico a metà del libro, i colpi di scena non mancano, così come la crudeltà del genere umano.
Qualcuno a me caro definisce i libri di Jenoff “libri da donna”. Semplicemente ritengo che Jenoff sia brava a raccontare la miseria umana, continuando a indossare i propri abiti. C’è una differenza tra raccontare la storia attraverso gli occhi attenti delle donne e definire un libro “per donne”.
Posso dirvi che non mi sono strappata i capelli, ma il finale ha compensato l’inizio lento e poco emozionante delle due protagoniste. Passo e chiudo.